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La Terra, una quantità data e non dilatabile
L'attenzione all'ambiente è oggi una moda, un rito, un'abitudine di vita o una necessità di cui non poter più fare a meno? Intervista a Carla Ravaioli
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21/12/2011

Sembra che per un motivo o l'altro sempre più persone riconoscano oggi i rischi che l'ambiente del nostro pianeta stia correndo. In pochi però lo hanno saputo intuire già decenni fa e ancora in meno hanno divulgato queste intuizioni a un pubblico vasto attraverso saggi e libri. 
Carla Ravaioli è una di questi pochi. La giornalista e saggista, classe 1923, originaria di Rimini,oggi residente a Roma, divulga ormai da anni il suo pensiero ambientalista con un linguaggio chiaro, semplice e rigoroso come solo i giornalisti sanno fare. La sua convinzione è che la degradazione dell'ambiente della nostra terra stia nei limiti profondissimi dell'economia. La sua attività da saggista l'ha iniziata nel '68 analizzando la condizione femminile di taglio culturale e psicologico. È invece nell'82 che la sua riflessione si allarga dal problema femminile all'intero impianto dell'ordine socioeconomico, occupandosi così per la prima volta del problema ambiente e schierandosi a favore della riduzione degli orari di lavoro, due temi che riprenderà spesso negli anni a seguire. Nei diversi saggi sul tema ambiente che ha poi scritto negli anni, la sua analisi è sempre partita dal sistema economico e sociale come fautore dei problemi ambientali ma anche come soluzione per un pianeta più ecosostenibile. Le abbiamo posto qualche domanda per conoscere meglio i suoi pensieri, che nella storia degli ambientalisti italiani sono stati fino a oggi sicuramente visionari.
Si legge che si è occupata nei primi decenni della sua attività della conduzione femminile e, solo in seguito, ha esteso la sua ricerca al modello socioeconomico in rapporto con le questioni ambientali.Che cosa è che l'ha spinta a concentrare le sue riflessioni sull'ambiente?
Negli anni settanta vi era l'attività del Club di Roma, coloro che hanno tradotto il famoso libro "Limiti dello sviluppo". Il titolo in inglese era "Limits to growth"- I limiti della crescita, il che è diverso perché lo sviluppo è un concetto più complesso. Questa crescita, che sta sulla bocca di tutti e invocata ogni tre parole come la soluzione di tutto, è dal punto di vista ecologico la causa prima del crescente squilibrio degli ecosistemi. Perché il mondo è grande: una quantità data e non dilatabile secondo i nostri bisogni e desideri e quindi non è in grado di alimentare una crescita produttiva illimitata secondo le logiche dell'accumulazione capitalistica. Il pianeta terra è una quantità data con dei limiti precisi, non dilatabile secondo i nostri desideri. E quindi la terra non è in grado di alimentare indefinitamente una crescita produttiva e illuminata perché ogni cosa è fatta di natura né la terra è in grado di neutralizzare i rifiuti liquidi, solidi e gassosi che da ogni produzione derivano. Non ci si ricorda mai che tutto quello che noi tocchiamo, vediamo, utilizziamo, trasformiamo nei modi più incredibili, perfezioniamo secondo le tecniche più avanzate. è tutto fatto di natura, minerale, vegetale, animale: non esiste altro. Anche noi, noi umani, grandi protagonisti di questa storia straordinaria di questa vicenda scientifica senza limiti parrebbe eh, di che cosa siamo fatti? Di ferro, calcio, acqua, carbonio, etc. come un albero, come il mio gatto. In qualche modo l'evoluzione umana è una sfida continua verso la natura, ma è stata sempre affiancata dalla negazione di questo comportamento. Se pensiamo ai grandi miti, anche essi sono stati puniti: Ulisse, Icaro, Prometeo, i giganti, tutti quelli che sfidano la natura vengono puniti. In fondo il mito dei miti, la cacciata di Adamo ed Eva dal paradiso terrestre, perché? Avevano mangiato il frutto dell'albero della scienza, del sapere. Accompagna quindi tutta la nostra storia, questa sensazione di sfida colpevole nei confronti della natura e quindi qua siamo a pagare questa colpa. 

Tra i vari economisti classici in chi si è maggiormente riconosciuta?
Economista non mi sono mai sentita, anche se me ne sono occupata molto di economia. Nel lontano 1992 ho scritto un libro che si chiamava "Il pianeta degli economisti ovvero l'economia contro il pianeta" in cui ho intervistato tutti i massimi economisti, tra cui anche Premi Nobel, compresi alcuni grandi economisti ambientalisti. Già allora andavo a chiedergli: Ma voi economisti non vi rendete conto che l'ambiente è una categoria strettamente connessa con la produzione economica? E mi rispondevano che di ambiente non se ne occupavano. In fondo l'ambiente continua a essere una sorta di categoria marginale, un'occorrenza di cui bisogna occuparsene quando ci sono le catastrofi, gli uragani, un'esondazione, un'alluvione. È una variabile secondaria di cui l'economia non è tenuta a occuparsi, mentre dovrebbe. Il mio libro è stato anche tradotto in inglese, ma gli economisti non hanno cambiato modo di essere. Gli economisti che si sono occupati di ambiente sono sempre rimasti ai margini.
La crisi economica attuale è solo una delle tante ricorrenti della storia del Capitalismo?
Credo di no. Appartiene sì alla serie di crisi economiche, ma con delle specifiche oggi nuove. André Gorzse n'è occupato già 10-12 anni fa. Lui parlava della finanziarizzazione del mondo che avrebbe potuto portare anche a una grave crisi economica a livello mondiale e legava una crescita mondiale illimitata a una iperproduzione che produceva dei cumuli di moneta che non trovavano collocazione, perché esorbitava da ogni bisogno reale. La fuga quindi era nel regno della finanza, dove la moneta gioca se stessa. Questo corrisponde molto alla realtà di oggi. Il fatto che oramai il produrre sia fine a se stesso. è qualche cosa che esula dall'impianto originario dell'economia come attività e della scienza economica come elaborazione teorica del medesimo.
Crede che un modello ecologico possa oggi portare avanti il nostro paese e farlo uscire dalla crisi economica?
Credo che non si possa più parlare di un solo paese. La globalizzazione oggi è una realtà e non è una parola. C'è proprio una grave manchevolezza nei confronti di questa realtà da parte degli studiosi, dei politici, degli economisti. Perché oggi esiste, indubbiamente, una globalizzazione economica che è proprio la forma stessa dell'economia e della sua espansione che ha prodotto la globalizzazione. Esiste una globalizzazione culturale perché il moltiplicarsi delle comunicazioni o il contaminarsi dei costumi hanno portato a una forma di cultura che è unica in tutto il mondo. Si pensi alla pubblicità. Essa è oggi forse la principale agenzia culturale del mondo perché quello che induce, propone e impone sono comportamenti, scelte, progetti di vita che sono però modellati tutti in funzione della crescita produttiva illuminata secondo la logica capitalistica: l'accumulazione. Esiste una globalizzazione economica, la globalizzazione culturale in funzione dell'economia ma non esiste una globalizzazione politica, perché c'è la tendenza di tutti i politici a occuparsi di un Paese o di un gruppo di Paesi come l'Europa che sono interconnessi (vedi caso attraverso la moneta e torniamo sempre all'economia). C'è una reciprocità di determinazione tra tutto quanto accade in Brasile, in Cina, in Irlanda, quindi ormai la globalizzazione non è più una parola priva di senso che pero è in alcun modo guidata dalla politica. La politica tende a tutti i livelli a limitarsi alla lettura e alla possibile soluzione di problemi locali. Un mondo ecologico dovrebbe essere globale. Perché il problema è globale, planetario. Il pianeta intero che subisce analoghe forme di dissesto dovute alle stesse d'intervento sopraffattorio da parte dell'umanità nei confronti dell'equilibrio ecologico.
Come definisce lei la Green economy e pensa che può essere oggi una soluzione sostenibile?
La Green economy potrebbe essere una grande cosa se obbedisse a queste logiche sopra menzionate. Perché essa ha uno sguardo limitato, prendiamo per esempio le energie verdi. Nell'essere prodotte non inquinano? Di questo nessuno se ne occupa. Schierare chilometri quadrati tali da alimentare una grande fabbrica significa desertificare una parte non indifferente di territorio, rubare all'agricoltura il terreno. La Green economy potrebbe essere utilissima, se fosse sostenuta da uno sguardo adeguato, da una logica proporzionata alla quantità nel senso materiale del problema.
Che cosa ha visto svilupparsi in maniera più catastrofica in questi anni?
La crescita, la parola più usata in tutto il mondo. Il fatto che il nostro agire debba essere concentrato tutto sulla crescita. Anche nei confronti del lavoro torno a Gorz o Claudio Napoleoni che avevano visto queste cose, sugli orari di lavoro, sul mio libro "Tempo da vendere, Tempo da usare". Nel dialogo che ho avuto con Napoleoni sull'orario di lavoro lui sosteneva che a un certo punto non ha più senso produrre più del necessario e la vita umana invece, dove sta scritto che debba essere spesa solo lavorando? Dove sta scritto se non nella logica aberrante della nostra società? Sarebbe necessaria una vera e propria rivoluzione, penso a una rivoluzione della cultura, dei modi di pensare se stessi e il mondo. Se si avesse presente che tutto ciò che noi produciamo è fatto di natura, dai palazzi che costruiamo, ai computer alle navette spaziali e che il pianeta non è in grado di alimentare tutto ciò né di neutralizzare i rifiuti che da ogni produzione derivano.
Che consiglio dà lei ai giovani di oggi?
Rendersi conto dell'impossibilità di continuare in questo modo. Il pianeta terra è fatto di una quantità data e non dilatabile secondo i nostri desideri. Gli auguro di cambiare modo di vivere e di vivere in un modo che non sia così in contrapposizione con la nostra natura. Continuare secondo questa logica, è oggi materialmente e fisicamente impossibile. La consapevolezza e il coraggio della gente di guardare alla realtà. L'evoluzione scientifica ha fatto sì che ormai tre quarti delle attività dell'uomo si compiano con il computer. Significa poter cambiare l'impiego del proprio tempo. Non bisogna più lavorare otto, dieci ore al giorno, non serve produrre sempre di più ma serve usare il proprio tempo in un modo diverso dal produrre, vivendo, soddisfacendo le proprie voglie. La vita di oggi ci obbliga tutti a lavorare. Per esempio l'agricoltura. Essa esigeva tempi di lavoro molto duri, ma consentiva anche lunghi tempi di riposo come tutto l'inverno. Io consiglio di recuperare questo tipo di logica per l'impianto della propria vita utilizzando la tecnologia per vivere il proprio tempo in modo diverso senza obbligo di orari e doveri volti al produrre.

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