A Rio de Janeiro a fine giugno è andato in onda il futuro del Pianeta. Almeno nei propositi iniziali. Il summit Rio+20</a> che l'Onu ha organizzato a vent'anni di distanza dal primo vertice mondiale sulle questioni legate a Madre Terra in realtà ha deluso non pochi. La riunione del '92 è stata la madre delle principali convenzioni globali come clima e biodiversità. L'appuntamento del 2012, invece, per molti, soprattutto per la società civile e le associazioni ambientaliste, ha rappresentato una "sfida non raccolta". Troppo pochi gli impegni, anzi, per le principali associazioni italiane, nel testo finale di 49 pagine e 283 capitoli, non c'è nessun impegno e nessun vincolo. Ma il cammino è tracciato, e non dai politici. Il senso è nel commento finale del secondo il quale il vertice di Rio è un' "occasione sprecata" anche se "lo sviluppo sostenibile ha già messo radici e crescerà". In effetti la spinta della società civile è più avanti dei decisori. E a sottolinearlo è l'Enea che, in un primo piano pubblicato sulla sua rivista "Energia, ambiente, innovazione" sottolinea la mole di eventi collaterali che hanno accompagnato la Conferenza: circa 500 svoltisi in parallelo fra loro e contemporaneamente ai lavori negoziali dei delegati. Una Conferenza "affollata", anzi "la più affollata e grande mai tenuta nella storia delle Nazioni Unite", ha detto la Presidente brasiliana, Dilma Roussef. Si stima, infatti, che abbiano partecipato complessivamente circa 50 mila persone, di cui 44 mila ufficialmente accreditati. I paesi partecipanti (191) sono stati rappresentati da 12 mila delegati circa e da 79 capi di stato e di governo. Per l'Italia in prima linea il ministro dell'Ambiente, Corrado Clini. E proprio all'Italia, secondo le fonti dei negoziatori, si deve un ruolo di leadership. Il nostro Paese è infatti riuscito a "cucire" le frontiere tra i Paesi che alla vigilia dei tre giorni politico-ministeriali e conclusivi, dal 20 al 22 giugno. Nonostante la delusione e il disaccordo degli ambientalisti e dei parlamenti italiani del Pd e dei Verdi presenti alla Conferenza di Rio, il ministro Clini ha assunto una posizione ottimistica e controcorrente. "Non capisco le polemiche", ha detto il responsabile italiano dell'Ambiente. "È un miracolo. Il rischio era non avere alcun testo". Per il ministro il vero successo dell'operazione Rio+20 è tutto in due parole: green economy, che sono state inserite per la prima volta in un testo ufficiale approvato da una Conferenza Onu. Il ministro in Italia ha lanciato un piano da 60.000 posti di lavoro che prevede aiuti e sgravi per tutto il settore delle imprese che si muovono nelle tecnologie pulite e che hanno nella chimica verde e dell'innovazione green il loro appeal nazionale e mondiale. A Rio+20 però i confini dell'impegno erano molto più sfumati. Il testo finale non contiene cifre o vincoli. Da qui le manifestazioni in pieno centro a Rio della Cupola dei popoli che comprende indios, gente comune e femministe. Loro si dicono più avanti di chi decide. Un esempio concreto lo fornisce da anni l'organizzazione internazionale che ha una sua rappresentanza ufficiale anche in Italia. Gli attivisti intervengono infatti sul campo contro la povertà fornendo alle comunità locali la possibilità di usare le risorse disponibili sul loro territorio e facendo da barriera all'assalto di chi quei terreni e quelle comunità le vuole soltanto sfruttare. È il caso del progetto in Repubblica Dominicana dove si è attivata una cooperativa di produzione del caffè che ora è in grado di fare anche export. Oppure nel Maghreb dove si insegna a tutelare una pianta importante nella farmaceutica. Lo sviluppo sostenibile, quindi, il tema centrale di Rio+20 fatto dalla base. Le azioni "immaginate" dalla società civile, se avessero un reale seguito, secondo l'analisi dell'Enea, "comporterebbero nei prossimi anni la mobilitazione di risorse finanziarie per 513 miliardi, la maggior parte delle quali (62%) sarebbero impegnate nel settore dell'energia sostenibile". In realtà nel testo di Rio, sempre secondo la lettura dell'Enea, la green economy occupa appena il 6% del documento e il quadro istituzionale il 10% del testo. Nel documento però una tappa ben precisa c'è: è la prossima assemblea delle Nazioni Unite, in settembre, quando, ha stabilito Rio+20, dovrà essere creato un gruppo di lavoro di trenta persone che dovranno presentare le proposte nel 2013 per il via libera dal 2015. È da questo gruppo di lavoro che dovranno uscire gli obiettivi, pochi - recita il testo di Rio+20 - concisi e rivolti all'azione applicabili a tutti i Paesi, pur tenendo conto delle circostanze nazionali particolari. La necessità di agire sulla tutela del proprio territorio pur non bloccando lo sviluppo è il primo principio emerso a Rio. E su questo il ministro Clini, guardando all'Italia, insiste dal momento del suo insediamento. Così è per il piano di sicurezza del territorio, contro il rischio idrogeologico e, dopo i fatti dell'Emilia, contro quello sismico, e così è anche per la rete dei parchi cui è dedicato il numero di Maggio/Giugno di Eco-news. I dati sono allarmanti per i fondi, come più volte ricordato dal presidente di Federparchi, Sammuri. E si affaccia l'ipotesi di attivare nei parchi nazionali una partecipazione aperta a forme di remunerazione e di sostenere il meccanismo con credito d'imposta che consenta a chi vuole investire nella protezione del territorio di scaricare tutto o in parte le tasse.