I negoziati Onu su clima si aprono oggi a Lima con i rappresentati di 190 paesi e sul summit internazionale spira un’aria di cauto ottimismo. I segnali degli ultimi mesi sembrano tutti in positivo: c’è stato il vertice Onu di New York di settembre scorso che ha visto, sul palcoscenico del Palazzo di Vetro, i leader mondiali prendere impegni sulla riduzione delle emissioni di gas serra; c’è stato l’accordo storico tra il presidente Usa Barack Obama e quello cinese, Xi Jinping, entrambi leader dei due paesi a più alto tasso di emissioni (40%), per ridurre il loro carico di CO2; ed infine c’è stato il sofferto accordo dei 28 paesi Ue che a fine ottobre hanno deciso di ridurre entro il 2030 i gas serra del 40% rispetto ai livelli del 1990. Da Lima, come ha sottolineato Christian Figueres, segretario esecutivo dell’UNFCC, la Convenzione quadro delle nazioni Unite sul clima, dopo 12 giorni di negoziati dovrebbe uscire una bozza di testo “equilibrato, ben strutturato e coerente” per arrivare nel 2015 a Parigi a chiudere un accordo globale “legalmente vincolante” taglia-CO2.
Su tutto il vertice pesa però il ricordo del flop della Conferenza sul clima di Copenaghen del 2009, quando si arrivò convinti di trovare un accordo e se ne uscì con nulla in mano. Ma molti osservatori fanno notare che il testo di accordo arrivato a Copenaghen era di più di 200 pagine e pieno di parentesi, versioni alternative, clausole, distinguo. La bozza di accordo sul tavolo dei 190 paesi a Lima è invece di sole 23 pagine e probabilmente a fine vertice sarà ancora più “magra”. Il Segretario dell’UNFCCC, Figueres, ha inoltre sottolineato che i paesi si riuniscono in Perù hanno cinque buoni motivi per affrontare positivamente il nodo del cambiamento climatico: la quinta relazione di valutazione dell'IPCC (iI panel di scienziati del clima) ha detto senza ombra di dubbio che l’uomo è responsabile del cambiamento climatico e deve quindi agire; mai prima d'ora c'è stato tale sostegno pubblico per agire, come hanno dimostrato le marce sul clima che si sono svolto a settembre in tutto il mondo; l’industria ha capito che ritardare l’azione significa un aumento dei costi futuri, mentre agire subito porta benefici economici immediati; esistono tutte le tecnologie per agire in modo efficace; vi è una crescente volontà politica tra i governi a sostenere l’azione. Ma alcune ombre sulla riuscita del vertice di Lima ci sono, soprattutto da parte degli Stati Uniti che, dopo le elezioni di mid term, hanno un Congresso totalmente repubblicano e quindi alieno a qualunque impegno sull’ambiente e Obama potrebbe far passare le misure salva-clima solo con un decreto presidenziale.
Molto dipenderà quindi dai leader europei. Francois Hollande ce la metterà tutta, visto il suo calo di popolarità, per portare a casa un testo che gli garantisca il successo a Parigi; l’Ue, che sarà rappresentata dal Commissario al Clima, Miguel Arias Canete e dal ministro italiano, Gian Luca Galletti, dovrà giocarsi la partita da protagonista, anche se la commissione di Jean-Claude Juncker e il Parlamento europeo sono meno verdi rispetto ai loro predecessori. Comunque a Lima ci sono ancora molti nodi da sciogliere. Il primo è la classificazione di Paesi sviluppati e non sviluppati, insieme alla definizione di criteri comuni dei contributi nazionali di riduzione di CO2. Un altro fattore chiave sarà quello economico e poi i termini di un accordo “vincolante”. Qui le opzioni sono diverse e c’è sempre la posizione di Cina e Stati Uniti che favoriscono la flessibilità.