Nel 1992 in Canada i merluzzi si esaurirono e il governo fu obbligato a chiuderne la pesca. L'esperienza canadese ebbe pesanti ripercussioni economiche (andarono in fumo 40mila posti di lavoro), ma non insegnò niente a chi avrebbe dovuto imparare. Così, a più di 20 anni di distanza, tutto il mondo si trova a dover far fronte al problema della pesca eccessiva e a bilanciare la domanda di pesce – che la FAO prevede crescerà anche nei prossimi anni – con la necessità di rallentare lo sfruttamento dei mari, pena la scomparsa degli stock ittici. “Il mare non segue le regole dell'economia, ma quelle della biologia. Se non si dà ai pesci il tempo di riprodursi, non c'è futuro per la pesca”, sintetizza Serena Maso, responsabile della campagna Mare di Greenpeace.
Tra le specie più a rischio, ci sono i predatori marini: “Gli squali sono spesso vittima anche di pesca accidentali. I tonni e i pesci spada sono invece troppo spesso oggetto di sovrasfruttamento”. Essendo all'apice della catena alimentare, una diminuzione degli esemplari di queste specie si ripercuote su quelle sottostanti: “La pesca eccessiva, per esempio, è una delle cause della proliferazione di meduse”. E la pressione delle reti è troppo forte anche per acciughe e sardine, in particolare nel Nord Adriatico e nel canale di Sicilia. Lo stesso Mediterraneo è tra le aree più minacciate del pianeta. E non basta, visto che la metà del pesce consumato nell'Unione europea viene da acque non comunitarie. La New Economics Foundation ha stimato che nel 2014, se avessimo dovuto fare affidamento solo sui mari europei, avremmo dovuto smettere di mangiare pesce l'11 luglio. E, evidenzia Serena Maso, c'è molto ancora da studiare e capire: “Nelle acque europee solo per il 50% degli stock si conosce il livello di conservazione. Si sa che solo 25 specie non risultano sovrasfruttate”. Sul resto mancano informazioni precise.
Gli stessi Paesi europei che tanto sfruttano i mari propri e altrui saranno però obbligati nei prossimi anni a mettersi in riga. “La riforma della politica comunitaria della pesca, approvata l'anno scorso, ha evidenziato che si pesca troppo, dalle due alle tre volte al di sopra dei limiti, e ha previsto una serie di misure di sostenibilità che gli stati membri dovranno attuare. I Paesi dovranno stabilire limiti massimi di prelievo per ogni specie, favorire attrezzi più selettivi, per evitare la pesca indiscriminata e dare priorità alle tecniche artigianali, che rappresentano la maggioranza in Europa e sono più sostenibili”. Se si seguiranno questi principi, si potrà cercare di invertire la rotta e migliorare le condizioni di conservazione dei pesci del Mare nostrum, sempre più simili a quelle dei merluzzi canadesi nel 1992.