Meno cibo, più CO2, meno materie prime. Gli effetti dell’urbanizzazione di terreni che in Italia procede al ritmo di 343 metri quadrati all’anno per ciascun italiano, tanto che ogni cinque mesi viene cementificata una superficie pari a quella del Comune di Napoli, sono stati analizzati da una ricerca compiuta da tre ricercatori italiani sulla Pianura Padana in Emilia Romagna e pubblicata sul periodico “Science for Environment Policy”. Secondo lo studio, la perdita di 15.000 ettari di terreni produttivi tra il 2003 e il 2008 nella pianura dell’Emilia-Romagna è costata circa 19.000.000 € in mancato stoccaggio del carbonio, 100 milioni di € in produzione di grano persa e 270.000.000 € in materie prime non più utilizzabili.
Per un paese come l’Italia non autosufficiente dal punto di vista alimentare, ridurre la quantità di terreno agricolo può avere gravi conseguenze proprio per la sicurezza alimentare, in particolare perchè dipende dalle importazioni, ed è quindi più vulnerabile alle fluttuazioni dei prezzi alimentari sui mercati globali. Secondo lo studio proprio la perdita di questi 15.000 ettari in 6 anni, supponendo che tutti i terreni agricoli persi fossero coltivati a grano, la coltura dominante dell’area, ha significato una perdita di raccolto di 109.000 tonnellate equivalente al fabbisogno calorico giornaliero di 425 000 persone e ha messo a rischio la sicurezza alimentare di 440.000 persone equivalenti l’anno.
Per studiare il valore economico del suolo e gli impatti del cambiamento di uso del suolo, i ricercatori hanno utilizzato i dati di categorizzazione del terreno come agricolo, urbano e industriale, bosco, prati e aree naturali, o zone umide e corsi d'acqua. Hanno poi stimato il valore economico del terreno, oltre che per la perdita di utilizzo della produzione alimentare, anche in base al suo ruolo di sink di carbonio e fonte di materie prime (come l'argilla o ghiaia).