Un progetto di piantagione di zucchero inglese in Etiopia darà lavoro a 700.000 lavoratori migranti e sarà sviluppato in una valle di 2000 km quadrati. Gli inglesi aiutano nel finanziamento e il governo etiope ne parla con fierezza. Fin qui tutto bene. Sembrerebbe trattarsi di una notizia positiva per un paese con un altissimo tasso di disoccupazione e povertà.
Peccato che la valle sia abitata da una tribù di 100.000 nomadi nativi della zona, la Nyangatom tribù, una delle dodici etnie che vivono nella Valle del Basso Omo in Etiopia, considerata dal Patrimonio dell’umanità dell’UNESCO come una delle regioni al mondo con il più alto tasso di diversità culturale.
I pastori saranno costretti dal governo ad abbandonare le loro case e le loro terre vicino al fiume. A loro saranno destinati dei villaggi costruiti dal governo etiope. Chi si opporrà rischierà la prigione. Questo è quanto hanno scoperto le Ong internazionali che indagano su questo progetto e cercano di dare voce ai pastori nomadi finora completamente esclusi dal processo decisionale sul territorio che abitano da sempre.
Le acque del fiume, che attraversa la valle, saranno usate per irrigare le piantagioni di zucchero e non sarà più ammesso un uso personale dell’ acqua, non appena la diga Gibe III sarà pronta, una diga che abbasserà drasticamente i livelli dell’acqua del fiume. “Arriveranno infrastrutture come ospedali e scuole nella zona, di cui potranno usufruire anche i pastori nomadi per cominciare a vivere una vita moderna abbandonando i loro greggi e la loro mobilità.” – queste le parole di difesa di chi sta dietro al progetto di piantagione di zucchero.
C’è anche chi sostiene quest’idea di sviluppo del governo. Lore Kakuta, educato da missionari cristiani e capo della sicurezza nel villaggio di Kangaton presso il fiume Omo spiega: “Stiamo insegnando alla nostra gente a modernizzarsi. In molti praticano la pastorizia quando non vi è abbastanza acqua per cibo e animali a causa della stagione secca. Ma una volta che l’irrigazione dei canali arriverà, non avremo più bisogno di tenere con noi grandi greggi di animali.”
A parte sperare che i livelli dell’acqua non scendano come il governo promette, molti vivono ora nella paura di non riuscire più a sopravvivere. Gli anziani della tribù Mursi, già evacuati in villaggi e privati del loro territorio ancestrale, si domandano “Il governo ci chiede di vendere i nostri greggi. Ci levano la terra dove coltiviamo le verdure di stagione di cui ci nutriamo per darle alla piantagione di zucchero. Come faremo a sopravvivere in futuro senza accesso ad acqua e terreni?”.
Foto di: Luigi Scotti