Una popolazione provata dalla guerra, con le case distrutte, con i depuratori danneggiati, con l’unico generatore elettrico ormai fuori uso. Questa è Gaza dopo il cessate il fuoco.
Il Prof. Keith Barnham, professore emerito di Fisica all’Imperial College di Londra, esperto di tecnologie rinnovabili, è convinto, e lo ha scritto in un articolo uscito sulla rivista The Ecologist, la bibbia dell’ambientalismo britannico, che proprio l’utilizzo di tecnologie rinnovabili potrebbe essere un primo passo per creare le condizioni per un mandato duraturo al cessate il fuoco tra Israele e Gaza.
“Un trattato di pace tra i due paesi – ha detto – può essere accelerato grazie all’introduzione da parte delle Nazioni Unite di pannelli solari e pale eoliche per dare elettricità a Gaza”.
La situazione energetica di Gaza è critica. Per evitare un’esplosione di malattie infettive, c’è bisogno infatti, al più presto di trovare una soluzione per portare elettricità agli ospedali e ai depuratori delle acque e il fotovoltaico e l’eolico non solo sono soluzioni efficaci, ma anche veloci da costruire. Secondo alcuni studi condotti in Germania, il mix di solare e eolico potrebbe riuscire a generare il 78% delle scorte annuali di elettricità. Altra energia potrebbe arrivare dal biogas prodotto dai rifiuti. Grazie al fattore clima, Gaza riuscirebbe con i soli pannelli solari posti sui tetti di Gaza City a generare ben il 65% di energia in più rispetto, ad esempio, a una città come Francoforte.
Un altro vantaggio importante è che le energie rinnovabili non creano conflitti sul possesso di risorse e territori: sole e vento sono ovunque e sono di tutti. Ecco perché il Prof Barnham crede che le tecnologie rinnovabili non solo sarebbero un’immediata risposta per un’efficace e veloce ricostruzione volta a migliorare le condizioni di un popolo che esce da un duro conflitto, ma sarebbero una soluzione che potrebbe portare a superare la paura e l’odio reciproci, creando finalmente le condizioni per un mandato di negoziazioni duraturo.