T-shirt in cotone biologico, pantaloni in lino, maglie in fibre di bambù e di canapa. Dietro gli abiti in tessuti naturali ci sono figure con competenze specifiche: non semplici stilisti, ma eco-designer abituati a confrontarsi ogni giorno con materiali particolari, che richiedono tecniche precise di lavorazione, dalla colorazione alle fasi di sartoria. Così, con il graduale diffondersi di abiti “biologici” ed “etici” ha preso forma una nuova professione, complici anche le campagne di Greenpeace e la risonanza che ha avuto la notizia del crollo del Rana Plaza, in Bangladesh, in cui erano ospitati alcuni laboratori tessili dove si realizzavano abiti per molti marchi occidentali.
“Nella moda tradizionale, vedi cose che non vorresti vedere. Io mangiavo bio, usavo cosmetici bio, ma non sapevo dove andare a comprarmi i vestiti”, racconta Manuela De Sanctis, che dopo aver lavorato nel settore del fashion convenzionale ha deciso di dare una svolta alla propria carriera fondando il marchio Rètro. “Ho studiato Giurisprudenza, ma dopo la laurea ho pensato di provare a realizzare un sogno”, aggiunge Natalia D'Annunzio, fondatrice della start up di ecofashion YSY.
Quello dell'ecowear, continua Manuela De Sanctis, è un altro mondo: “I tessuti non trattati si comportano in modo diverso da quelli convenzionali. Per questo, il processo per creare un capo è all'inverso: nella moda ecologica prima si scelgono i tessuti e poi si disegna la collezione”. Anche i colori devono essere sostenibili: “Sono la cosa principale, perché le tinture certificate non contengono sostanze tossiche e metalli pesanti”. E l'ecologia nell'abbigliamento spesso si abbina all'etica: “Oggi la moda spesso è usa e getta. Raramente si pensa che dietro una maglietta da 10 euro c'è una persona pagata 50 centesimi per cucirla. Scindere la sostenibilità dall'eticità non ha senso: per questo ho scelto di produrre in Italia”.
Se la creatività non manca, nel nostro Paese sono invece ancora pochi i produttori di filati certificati biologici. “I tessuti in canapa che acquisto vengono dai Paesi dell'Est Europa. Il prezzo poi triplica se si decide di far fare la colorazione in Italia piuttosto che in Cina”, racconta la stilista Susy Bonollo, fondatrice di Baciditrama. “Dopo una ricerca, ho scelto un fornitore tedesco: in Italia il consumatore finale non è ancora pronto e per questo sono poche le aziende che intraprendono la strada dei tessuti biologici certificati”, aggiunge Natalia D'Annunzio.