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Parte il conto alla rovescia per trovare il sito del deposito delle scorie nucleari
Pronta la Carta delle aree idonee, ma cominciano a fioccare “no” da Regioni e Comuni colpiti dalla sindrome Nimby
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07/01/2015

Come aveva promesso agli inizi di novembre l’amministratore delegato, Riccardo Casale, la Sogin, la società pubblica incaricata del decommissioning degli impianti nucleari e della messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi, ha consegnato il 2 gennaio, un giorno prima della scadenza prevista, la Carta delle aree idonee ad ospitare il Deposito nazionale per la messa in sicurezza dei rifiuti nucleari e il parco tecnologico che svolgerà attività di ricerca nel campo del decommissioning. Ma non è passato un giorno da questo atto dovuto che la sindrome Nimby (not in ma back yard - non nel mio cortile) ha cominciato a colpire regioni e comuni italiani.
Il primo no ad un deposito sul proprio territorio è venuto dalla Basilicata (ancora scottata dalla vicenda di Scanzano nel 2003) che per voce del Presidente ha affermato che “nessuna nostra area sarà concessa per il deposito”, a seguire è arrivata la Sardegna e poi i comuni di Trino e Latina dove sono ancora le vecchie centrali nucleari italiane in attesa di decommissioning. Ma probabilmente la lista è destinata ad allungarsi. Eppure il Deposito sarà una struttura con barriere ingegneristiche e barriere naturali poste in serie, progettata sulla base delle migliori esperienze internazionali e secondoi più recenti standard AIEA (Agenzia Internazionale Energia Atomica) che consentirà nella massima sicurezza la sistemazione definitiva di circa 75 mila metri cubi di rifiuti di bassa e media attività e lo stoccaggio temporaneo di circa 15 mila metri cubi di rifiuti ad alta attività. E proprio il trasferimento dei rifiuti radioattivi in un’unica struttura (oggi sono ospitati in una ventina di depositi temporanei sparsi in tutta Italia) è la soluzione più idonea a  garantire sia la sicurezza per i cittadini e l’ambiente sia il rispetto delle direttive europee.
Il deposito, posto all’interno di un parco tecnologico, un vero e proprio centro di ricerca aperto a collaborazioni internazionali, a fronte di investimenti di 1,5 miliardi di euro per la realizzazione, sarà in grado di generare un’occupazione media di lungo periodo di circa 1.500 occupati l'anno per quattro anni e 700 posti di lavoro per la gestione, al netto dell’indotto, e potrà anche costituire una grande opportunità per l’Italia, tenendo conto che il mercato delle bonifiche da svolgere in tutta Europa entro il 2050 è stimato incirca 67 miliardi di Euro. La formazione di personale specializzato permetterà sicuramente ad imprese italiane di competere adeguatamente sui mercati internazionali in un campo che rientra a pieno titolo nella “green economy”. 

Ma quali saranno ora i passaggi successivi per arrivare all’identificazione del sito? La Carta, elaborata in base ai Criteri di localizzazione stabiliti dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca ambientale) nel giugno scorso, torna ora all’ISPRA che ha due mesi di tempo per verificare la corretta applicazione dei Criteri da parte di Sogin e validare la Carta. Al termine di tale lavoro, è previsto che entro un mese il Ministero dello Sviluppo Economico e il Ministero dell’Ambiente comunichino il loro nulla osta affinché Sogin pubblichi la Carta. La pubblicazione della Carta e quella contestuale del Progetto Preliminare apriranno una fase di consultazione pubblica e di condivisione, che culminerà in un Seminario Nazionale, dove saranno invitati a partecipare tutti i soggetti coinvolti ed interessati. “Trovare una soluzione ad una situazione precaria e insicura, come quella in cuisi trova la gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare esaurito – osserva Stefano Leoni, Presidente dell’Osservatorio per la chiusura del ciclo nucleare - è un atto dovuto”. Ma la penseranno così anche i cittadini del comune prescelto per ospitare il deposito?

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