Chiunque, leggendo “L’Oceano di plastica” o vedendo un documentario, ha avuto modo di conoscere quell’orrenda massa di rifiuti denominata “Great Pacific Garbage Patch” che galleggia in pieno Oceano Pacifico ed è estesa quanto il Canada, sa che è difficile incontrare un tratto di costa libero da rifiuti o tirare su una rete senza catturare un pezzo di plastica o una lenza abbandonata.
Raccogliere tutti i rifiuti dell’Oceano forse non sarà possibile, ma pensare di riutilizzarne una parte è sicuramente un’idea geniale. Adidas, in collaborazione con l'organizzazione ambientalista 'Parley for the Oceans', ha deciso di fare - è il caso di dirlo - il proprio primo passo in tal senso producendo il primo paio di scarpe snakers realizzate plastiche e reti da pesca raccolte negli oceani. Anche se, per ora, queste scarpe - presentate in occasione di una conferenza sui cambiamenti climatici svoltasi presso la sede dell’Onu lo scorso 29 giugno - sono un prototipo, non sono di certo passate inosservate. Nel corso del prossimo anno - hanno rassicurato azienda e associazione - verrà presentata una linea di prodotti ottenuti con la plastica recuperata dagli oceani. Andando ad analizzare il dettaglio del prototipo, la parte superiore della scarpa è realizzata interamente con filati ottenuti dai rifiuti recuperati dall’Oceano dalla nave Sea Shepherd, partner di Parley for the Oceans. La suola - garantiscono - è anch’essa “green” poiché è realizzata con materiali ecosostenibili. Cyrill Gutsch, fondatore della Parley, ha sottolineato l’importanza fondamentale degli oceani all’interno del dibattito sui cambiamenti climatici. "Il nostro obiettivo è quello di aumentare la consapevolezza del pubblico e di ispirare nuove collaborazioni che possano contribuire a proteggere e preservare gli oceani. Siamo estremamente orgogliosi - ha concluso Gustsch - che Adidas si sia unita a noi in questa missione e stia mettendo la sua forza creativa in questa questa partnership per dimostrare che è possibile trasformare un oceano di plastica in qualcosa di fico".
Questa sì che è circular economy!