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Il piano di Obama un bluff? Si può ancora vincere la sfida ai cambiamenti climatici?
Il climatologo Ferrara: rispetto al 1990 vi è un aumento effettivo delle emissioni del 4% circa. Brocchieri: strategia USA passo in avanti. Caciagli: vinceremo la sfida ai cambiamenti climatici
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05/08/2015

La Cop di Parigi si avvicina e il dibattito su come arrestare i cambiamenti climatici diventa rovente. Dopo l’enciclica del Papa Laudato sì, a far tornare il clima su tutte le prime pagine dei giornali è Barack Obama con il Clean Power Plan. Un successo? Non proprio secondo alcuni esperti come Vincenzo Ferrara, noto climatologo e componente del comitato scientifico di Econews secondo il quale il Piano di Obama può definirsi “un bluff per i giornalisti poco preparati in materia”.

Dal suo profilo facebook Ferrara afferma che la riduzione del 32% entro il 2030 delle emissioni relative al settore della produzione elettrica, rispetto ai livelli di emissione del 2005, corrisponda in realtà:

- ad una riduzione effettiva entro il 2030 delle emissioni totali USA del 10,8% rispetto alle emissioni totali USA del 2005;

- ad un aumento entro il 2030 delle emissioni totali degli USA di circa il 4% rispetto ai livelli delle emissioni USA del 1990.

Spostare, infatti, l'anno di riferimento al 2005 invece che considerarlo al 1990, come stabilisce la UNFCCC e le Nazioni Unite, è una scorrettezza e permette agli USA, come in un gioco di prestigio, di far apparire come riduzione (per giunta del solo settore elettrico  che contribuisce alle emissioni totali per un 30% circa) un aumento reale delle emissioni totali degli USA al 2030 rispetto ai livelli delle emissioni degli USA del 1990. Siamo molto, ma molto lontani, dagli impegni veri, concreti e verificabili dell’Unione Europea: impegni già attuati al 2012 (riduzione 8%), impegni in corso di attuazione (riduzione del 20% al 2020) e dei nuovi impegni (riduzione del 30% o forse anche del 40% entro il 2030) tutti riferiti al 1990 e non al 2005”.

Perché proprio il 2005 allora? Lo spiega Kyle Ash, Senior Legislative Representative di Greenpeace dalle pagine USA dell’Huffington Post che sottolinea come tale anno sia quello più conveniente da indicare perché ha registrato il massimo storico. A parità di obiettivi, spiega Ash, se si fosse preso a parametro il 2013, il taglio annunciato sarebbe stato del 20%.

Intanto, sui social in Italia la discussione prosegue: “La strategia degli USA deve essere visto come un primo passo sostanziale preso a livello nazionale, che è dunque andato oltre gli annunci dello scorso anno: si comincia a vedere qualcosa di concreto” commenta Federico Brocchieri, Coordinatore Progetti di Italian Climate Network.E' chiaro che il seguito dipenderà anche da chi gli succederà alla Casa Bianca, ma anche questo vale per tutti i paesi e non c'è altro modo per affrontare la cosa a meno che non si voglia superare il concetto di sovranità nazionale...”. 

Sulla stessa linea anche Veronica Caciagli, presidente dell'Italian Climate Network secondo la quale: "Dobbiamo ricordarci che nessun piano o evento, da solo, porterà la soluzione universale della questione climatica. Nemmeno la Conferenza di Parigi: al momento, con gli impegni dichiarati abbiamo uno scenario di aumento delle emissioni di oltre 3 gradi centigradi - che è decisamente migliore dei +4-6 gradi previsti solo pochi anni fa. Ma non è ancora abbastanza: la verità è che è in atto uno scontro tra interessi opposti, tra un mondo fossile e uno alimentato al 100% a energia pulita. Rispondere a questa sfida impiegherà probabilmente uno o due decenni. Occorre però che anche il giornalismo cambi, e inizi a raccontare anche i passi avanti e le battaglie vinte, nella consapevolezza di due aspetti: che la sfida ai cambiamenti climatici è la guerra lunga. E che la vinceremo".


Se la strada è ancora lunga, la direzione quantomeno pare quella giusta.

 

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