Riutilizzare gli scarti di lavorazione provenienti dalla filiera produttiva agroindustriale per realizzare nuovi materiali rischiesti dal mercato. Si va dalla buccia delle arance, al lattosio, alla lolla di riso. Migliaia di tonnellate di materia prima che possono essere utilizzate e immesse in un nuovo ciclo, in questo caso virtuoso. È questa la bioraffineria, ovvero un segmento della ricerca che proprio in questi anni sta sviluppando nuovi processi produttivi.
“La bioraffineria riutilizza le molecole organiche contenute negli scarti della filiera della lavorazione del cibo”, spiega Nicoletta Ravasio, dell’Istituto di scienze e tecnologie molecolari (Istm) del Cnr. “Cerchiamo così di eliminare lo scarto, tagliando i costi di smaltimento, trasformandolo in prodotti come la bioplastica”. Un risparmio anche in termini ambientali, perché, in questo caso, si va a sostituire la materia prima proveniente da fonti fossili.
È il tanto utilizzato concetto del “non si butta via niente”, e del più recente “non esistono più gli scarti, ma sono tutti co-prodotti”. Ecco allora il riutilizzo della lolla proveniente dalla lavorazione del riso: ogni anno se ne producono circa 300 mila tonnellate, che vengono spesso interrate. “Si tratta di biomasse che non si possono utilizzare come biomassa perché contengono silice”, continua Ravasio. “Oggi riusciamo ad estrarre olii vegetali, fitosteroli, ma gli incroci sono tantissimi. Da ogni pianta si possono estrarre molecole bioattive, coloranti, fraganze”.
Ma questo non è il solo esempio. Dall'industria latteo casearia è possibile riutilizzare il lattosio e trasformalo il sorbitolo e dulcitolo, sostanze che possono essere impiegate nell'industria alimentare. Dal settore dei succhi di frutta si possono recuperare le bucce della frutta, arance e mele in testa, per produrre pectine o addirittura arrivare a fare carta.
“La mia visione del futuro è quella di dividere tutti gli scarti per famiglia chimica e fare delle grandi raccolte di rifiuti che diventeranno così nuovi materiali”. Capovolgendo così il concetto di rifiuto e di scarto, che in un futuro ottimistico e non troppo lontano, non esisterà più.