Circa 160 leader mondiali si incontreranno a New York dal 25 al 27 settembre per adottare il nuovo programma per lo sviluppo sostenibile. Si tratta di una tre giorni dedicata all’ ambiente, ma che non potrà fare a meno di affrontare, sia nei discorsi ufficiali che negli incontri informali, lo spinoso dossier clima al centro della COP 21, la conferenza di Parigi (30 novembre-11 dicembre) dove si dovrebbe trovare un accordo internazionale per la riduzione dei gas serra a partire dal 2020 e contenere così il riscaldamento globale entro i 2 gradi centigradi rispetto all’ era pre-industriale. In questo ultimo incontro di livello mondiale prima di Parigi, a dare il là della strategia da seguire per trovare un accordo sarà certamente Papa Francesco, ormai divenuto il paladino internazionale e l’ autorità morale della lotta ai cambiamenti climatici dopo la sua enciclica “Laudati si’”. Il Pontefice arriverà a New York, per aprire il vertice Onu, reduce dai colloqui che ha avuto con il presidente degli Stati Uniti Barack Obama che hanno avuto tra gli argomenti chiave la lotta ai cambiamenti climatici. Proprio Obama, anche se sa che il Congresso non darà mai il via libera ad un accordo vincolante sul clima, è molto attivo nel tessere contatti “climatici”, dopo Papa Francesco, venerdì incontrerà a Washington, sulla strada per il vertice di New York, il leader cinese Xi Jinping. “Con ogni singolo leader che incontra - dice Farhana Yamin l’ esperta di clima fondatrice di Track 0 – Obama parla sempre dei cambiamenti climatici”. Ma nonostante questo capillare lavorio diplomatico i segnali a 65 giorni dal vertice di Parigi non sono molto incoraggianti. A inizio settembre il Presidente francese Francois Hollande, che ha legato il suo capitale politico ad un esito positivo di Parigi, ha affermato che “c’è un rischio di fallimento”. Il commissario europeo per il clima Miguel Arias Cañete ha sottolineato come “nelle stanze dei negoziati, i progressi sono stati dolorosamente lenti e. la finestra di opportunità si sta chiudendo ... veloce". Anche il segretario generale della Nazioni Unite, Ban Ki-moon è preoccupato, nel testo negoziale di accordo, ancora troppo lungo, ci sono infatti troppe parentesi quadre, e molte posizioni sembrano inconciliabili. I negoziati di settembre a Bonn non sono stati soddisfacenti, ma si spera che tutto questo pressing politico serva a far fare passi in avanti alla trattativa nella prossima tornata negoziale prevista ad ottobre. I paesi poi, come è stato stabilito lo scorso anno nel Cop di Lima, devono presentare il proprio INDC (Intended Nationally Determined Contribution), ovvero il pacchetto di misure pro clima. Ad oggi però gli impegni sono stati presi da poco meno di 60 paesi che complessivamente rappresentano il 61% delle emissioni globali, ma, come rileva il commissario Ue, gli impegni non sono abbastanza ambiziosi per limitare il riscaldamento ai 2 gradi centigradi. Certamente non tutto è perduto, ma comincia a serpeggiare la “sindrome Copenhagen”, la funesta Cop in cui sembrava si dovesse raggiungere un accordo e che fu invece un grosso fallimento.