In una Parigi blindata, più di 150 leader mondiali si riuniscono alla ricerca di un trattato equo e legalmente vincolante, che consenta di limitare il riscaldamento globale almeno al di sotto di 2°C e accelerare la transizione verso un’economia decarbonizzata. La COP 21, la Conferenza dell’Onu sul clima, che si svolgerà dal 30 novembre all’ 11 dicembre, vedrà nella capitale francese che la ospita, una compagine, mai vista prima, di leader mondiali, molti dei quali a capo di nazioni in cui oggi spirano venti di guerra, che sembrano voler trovare proprio sul clima un’occasione di dialogo. Ci sarà il presidente Usa Barack Obama e quello Russo Vladimir Putin; il leader cinese Xi Jinping e quello indiano Narendra Modi; il leader israeliano Benjamin Netanyahu e quello palestinese Abū Māzen, il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdoğan e quello egiziano Abdel Fattah El Sisi e non mancheranno tutti i leader europei a cominciare dal Presidente della Commissione Jean Claude Juncker ad Angela Merkel, da David Cameron e Matteo Renzi. E proprio Obama ha voluto sottolineare il significato simbolico di questa riunione a Parigi del gotha politico mondiale, una riunione che si pone come “una enorme sfida ai terroristi” che vede il mondo stare unito “per creare un futuro migliore per i nostri figli” A differenza dell'inconcludente summit di Copenaghen del 2009, quando i capi di Stato e di governo intervennero alla fine dei negoziati, a Parigi saranno presenti il primo giorno per dare un "impeto politico all'inizio", come ha voluto il ministro degli esteri francese Laurent Fabius. A dare maggiori chances di successo a questo vertice è senz’altro il fatto che dal 2009 ad oggi gli scenari sono cambiati: sono cambiate le visioni e gli approcci di due dei paesi maggiormente responsabili delle emissioni di gas serra, Usa e Cina, e si sono registrati grandi avanzamenti tecnologici che hanno fatto declinare, più rapidamente del previsto, i costi delle energie “verdi”. Dalle analisi degli osservatori sono tre le condizioni necessarie affinchè il vertice abbia successo: fissare a 1,5-2 gradi l'aumento massimo delle temperature entro la fine del secolo, con la possibilità di una revisione, anche al ribasso, ogni 5 anni, siglare un accordo che sia "giuridicamente vincolante"; e raccogliere 100 miliardi di dollari, da parte dei Paesi ricchi, per la riduzione della CO2 e l'adattamento ai cambiamenti climatici nei Paesi più poveri. Obama è certamente il maggiore fautore di un accordo perchè vorrebbe chiudere il suo mandato presidenziale con un successo in campo ambientale, anche se il suo segretario di stato, John Kerry, in un’intervista al Financial Times ha detto che "da Parigi non uscirà un trattato e neppure un protocollo giuridicamente vincolante”. Al di là delle parole, forse questa è una visione lungimirante da parte del capo della diplomazia statunitense, che teme che un trattato non sarebbe mai ratificato da un Congresso a maggioranza repubblicana e farebbe quindi la fine del protocollo di Kyoto. Le parole di Kerry, oltre a far irritare i francesi, non hanno prodotto conseguenze, anche perché l’approccio dell’Onu alla Conferenza di Parigi è stato, questa volta, basato sulla volontarietà: è stato infatti chiesto ai Paesi di indicare i loro impegni volontari nel taglio delle emissioni. Quasi tutti i 191 Paesi aderenti alle Nazioni Unite hanno fatto i compiti a casa, anche se questo sforzo non si dimostra ancora sufficiente per limitare l’aumento della temperatura entro i 2 gradi. Le Nazioni questa volta hanno però dalla loro parte alleati di peso: le industrie. L’ ultimo impegno viene proprio dagli amministratori delegati di 79 grandi multinazionali dal Brasile, alla Cina, all'Europa all'India agli Stati Uniti che hanno firmato un documento in cui chiedono ai leader mondiali, di fare a Parigi il massimo sforzo per raggiungere un "accordo ambizioso sul clima" e da parte loro si impegnano in azioni di riduzione delle emissioni. Nel suo piccolo anche l’industria italiana ha alzato la voce in vista del vertice Onu. E’ stato consegnato, infatti, al Ministro dell’Ambiente un appello firmato da oltre 200 imprese grandi, medie e piccole, tra cui ERG Renew, Novamont, Ferrovie dello Stato, Unilever Italia, Barilla, Poste italiane ecc, che chiede un accordo ambizioso alla Conferenza di Parigi. Da non dimenticare poi la comunità scientifica. Sul vertice di Parigi e sulla sua riuscita pesa anche il rapporto dell’Onu reso noto nei giorni scorsi secondo il quale Il 90% delle catastrofi registrate negli ultimi venti anni sono legate alle condizioni meteorologiche ed hanno causato più' di 600mila morti, Dalla prima Conferenza sul cambiamento climatico (COP1) nel 1995, poi, 606.000 vite sono state perse, pari a una media di 30mila all'anno.
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