Più di 200 eventi meteo estremi – allagamenti, frane, esondazioni, con danni alle infrastrutture o al patrimonio storico – che hanno colpito in cinque anni 101 città italiane, con conseguenze dirette sulla vita quotidiana degli abitanti, dai problemi alla circolazione dei mezzi pubblici ai blackout, fino ai ben più gravi impatti sulla salute. Mentre i cambiamenti climatici si fanno sentire sempre più, nelle aree urbane servono azioni concrete di adattamento. A dirlo è il rapporto “Le città italiane alla sfida del clima”, realizzato da Legambiente in collaborazione con il ministero dell’Ambiente.
Lo studio fa innanzi tutto una mappatura degli effetti del riscaldamento globale sulle nostre città: qui si produce la maggior parte delle emissioni climalteranti e qui, a causa di cementificazione e scarsità di aree verdi, unite a dissesto idrogeologico, scelte urbanistiche sbagliate e abusivismo edilizio, gli eventi meteo estremi legati ai cambiamenti climatici colpiscono in maniera più violenta. “Secondo i dati del Cnr, dal 2010 al 2015 le sole inondazioni hanno provocato in Italia la morte di 140 persone e l’evacuazione di oltre 32mila cittadini. Negli ultimi cinque anni sono stati 91 i giorni di stop a metropolitane e treni urbani nelle principali città italiane; 43 invece i giorni di blackout elettrici dovuti sempre al maltempo”, spiegano dall’associazione del Cigno.
Se ci si sofferma un momento sul solo dissesto idrogeologico, antico problema italiano reso ancora più grave dal clima che cambia, si osservano numeri allarmanti: “Tra il 1944 ed il 2012 sono stati spesi 61,5 i miliardi di euro solo per i danni provocati dagli eventi estremi nel territorio italiano. Secondo i dati di “Italia sicura”, l’Italia è tra i primi paesi al mondo per risarcimenti e riparazioni di danni da eventi di dissesto: circa 3,5 miliardi all’anno dal 1945 in poi. Dal 1950 ad oggi abbiamo contato 5.459 vittime in oltre 4.000 eventi tra frane e alluvioni”. Oggi più dell’80% dei comuni si trova in aree sensibili, per un totale di 6 milioni di cittadini che vivono in zone a forte rischio idrogeologico.
Ancora più preoccupanti i dati legati all’impatto sulla salute delle ondate di calore. Nelle città, cementificazione e superfici asfaltate accumulano una maggiore quantità di calore rispetto per esempio a foreste e campi coltivati, rilasciandolo durante la notte con differenze di temperature tra aree urbane e rurali che possono superare i 5 gradi. Le temperature sopra la media dell’estate scorsa hanno causato “un aumento della mortalità giornaliera nella popolazione con età superiore ai 65 anni nel mese di luglio 2015, con incrementi compresi tra +15% e +55%”. E alcune stime “arrivano a calcolare come, in assenza di azioni di adattamento, le morti causate dal calore potrebbero entro il 2100 toccare i 200mila casi all’anno nella sola Europa, mentre i costi delle alluvioni fluviali potrebbero superare i 10 miliardi di euro all’anno”.
Di fronte a questi dati, spiegano da Legambiente, è necessario elaborare dei Piani clima delle città, mettere l’adattamento tra le priorità della politica governativa contro il dissesto idrogeologico e monitorare gli impatti sanitari dei cambiamenti climatici nelle aree urbane. Intanto, però, iniziano a farsi strada anche le esperienze positive: accanto ai casi virtuosi stranieri, in Italia le migliori best practice arrivano dall’Emilia Romagna. A Bologna il Comune sta lavorando a un piano locale di adattamento: per far fronte al rischio siccità si punta a ridurre i consumi idrici e le perdite della rete, mentre contro le ondate di calore e il rischio idrogeologico verranno creati nuovi spazi verdi e saranno rese permeabili le pavimentazioni. A Modena, la riqualificazione di piazza Roma è diventata un’occasione anche per combattere il fenomeno delle isole di calore: al posto delle auto parcheggiate, sarà realizzato un sistema di specchi d’acqua e fontane che contribuiranno a rendere la piazza più fresca nei mesi estivi.