“Dopo la sua elezione a cancelliera, Angela Merkel mi ha chiamato per chiedermi come impostare lo sviluppo futuro del suo Paese. Oggi la Germania, tradizionalmente legata al carbone, produce il 32% dell’elettricità con il solare e l’eolico. Sarà il 100% entro il 2040”. Jeremy Rifkin, chiamato ad aprire il 24 maggio l’edizione 2016 di Forum PA, racconta alla platea romana le mille ipoteche sul nostro futuro, ma poi dice di “avere qualche speranza”. L’economista statunitense, teorico della blue economy e di un futuro dell’economia plasmato dalle comunicazioni digitali e dall’internet delle cose, dell’energia, dei trasporti, esordisce spiegando che “in due generazioni potremmo perdere la metà delle specie sul pianeta. Non sappiamo se sopravviveremo a questo secolo”. Per questo, dice, “abbiamo bisogno di un piano economico realizzabile in tre decenni. Siamo in ritardo, già a metà dell’abisso. Se vogliamo almeno mitigare gli effetti peggiori dei cambiamenti climatici e sopravvivere, dobbiamo abbandonare i combustibili fossili”.
Il futuro, per Rifkin, passa dall’attuazione di un nuovo paradigma economico: “I cambiamenti nei mezzi di comunicazione, le fonti energetiche e i sistemi di trasporto hanno portato nel tempo al passaggio da un paradigma all’altro. Nel 1800 con la prima rivoluzione industriale in Gran Bretagna c’è stato l’avvento della tecnologia di stampa azionata da una macchina a vapore, del telegrafo, insieme all’uso del carbone e allo sviluppo del trasporto ferroviario. Nel xx secolo, negli Stati Uniti si è passati alla seconda rivoluzione industriale, segnata sul fronte dei mezzi di comunicazione da tv e telefono, dall’uso del petrolio come fonte energetica e dal motore a combustione interna, e quindi il trasporto su strada, sul fronte della mobilità”. Cosa ci aspetta nel futuro? La rivoluzione che auspica Rifkin, e che in buona parte è già in atto, si muove sul percorso segnato dalle comunicazioni digitali, le energie rinnovabili e i trasporti condivisi, il tutto unito allo sviluppo dell’internet delle cose, che attraverso 100 trilioni di sensori entro il 2030 ci permetterà di monitorare tutta l’attività economica in tempo reale, riducendone l’impatto ambientale.
La sfida alla base di tutto è l’abbandono delle fonti fossili: un obiettivo enorme, anche se ci sono segnali di grosse evoluzioni in corso. “La Germania non è l’unica, anche la Danimarca lo sta facendo”. E se si esce dall’Europa, si vede come un gigante come la Cina abbia intuito le potenzialità della digitalizzazione: “Il nuovo presidente Xi Jinping ha annunciato l’investimento di 82 milioni di dollari in quattro anni per la digitalizzazione della rete elettrica. Questo permetterà a 1 miliardo di cinesi di produrre energia solare ed eolica da mettere in rete”. Come già fanno molte famiglie e aziende agricole europee: “In Germania, gli agricoltori hanno creato cooperative energetiche. Producono cibo ed energia, mentre oggi le grandi società generano meno del 7% del totale”. Mentre la generazione dell’energia è sempre più decentrata, per i colossi energetici la strada per non scomparire passa secondo Rifkin attraverso l’internet delle cose: “Guadagneranno sempre meno dalla vendita dell’energia, ma potranno fare accordi con tante piccole imprese di produzione e migliorare la loro efficienza, produttività e impronta ambientale”. Sul fronte dei trasporti, i maggiori cambiamenti arriveranno dallo sviluppo del car sharing: “Oggi il traffico è la terza causa di emissioni di CO2 dopo l’edilizia e gli allevamenti intensivi. Grazie alla condivisione, l’80% delle auto sparirà dalle strade e l’altro 20% sarà costituito da mezzi elettrici o a idrogeno”.