Mentre nel resto del mondo gli investimenti in rinnovabili corrono veloce, l’Europa piange. REN21, l’organizzazione delle Nazioni Unite che riunisce istituzioni, ong e associazioni di settore dell’energia verde, non ha dubbi: il 2015 è stato un anno “straordinario”, con un aumento di capacità installata mai visto prima. Nel suo report globale 2016, il network mette in fila i numeri del successo: 147 gigawatt elettrici e 38 gigawatt termici aggiunti nel 2015, con un investimento nelle rinnovabili che l’anno scorso ha raggiunto il record di 286 miliardi di dollari, il 5% in più rispetto al 2014 e oltre il doppio dei 130 miliardi di dollari destinati a nuovi progetti di impianti di carbone e gas naturale.
Numeri mondiali che nascondono il disastro che si sta consumando in Europa, dove in un anno gli investimenti in energie puliti sono scesi di oltre il 20%, passando da oltre 62 miliardi a meno di 50 miliardi di dollari, nonostante i trend positivi che si registrano nel settore dell’eolico off shore. Un’emorragia che va avanti dal 2012: nel 2011, prima dell’inizio del declino, il dato era a 123 miliardi, il 250% in più rispetto al 2015. Dall’altra parte del mondo, in Cina, la situazione è opposta: solo nel 2015, gli investimenti in rinnovabili sono cresciuti del 17% rispetto all’anno precedente, attestandosi a quota 103 miliardi di dollari, più del doppio rispetto al 2011. E investimenti significativi si registrano anche in India, Sud Africa, Messico e Cile. Tra i Paesi che investono più di 500 milioni di dollari in energia verde ci sono anche Marocco, Uruguay, Filippine, Pakistan e Honduras.
In Italia le cose vanno meglio rispetto alla media europea: gli investimenti nelle rinnovabili sono stati nel 2015 quasi 10 miliardi di euro, circa 3 miliardi in più rispetto all’anno precedente. Ma in gran parte questi soldi hanno preso la strada dell’estero: 3,5 miliardi diretti soprattutto in America Latina (28%) e Africa (20%), un quarto nel resto dell’Europa. Alessandro Marangoni, ceo della società di consulenza Althesys che ogni anno pubblica il rapporto Irex sulle rinnovabili, conferma la tendenza riguardante “le imprese italiane e il loro processo di internazionalizzazione: il flusso di investimenti destinato allo sviluppo delle rinnovabili si è trasferito ai Paesi emergenti, non solo quelli ormai trainanti e più popolosi come Cina, India e Brasile, ma anche in economie di più recente sviluppo come Marocco, Uruguay e Filippine”.
Un quadro complesso che ha ripercussioni dirette sull’occupazione. Secondo il recente rapporto dell’Agenzia internazionale delle energie rinnovabili (Irena), a livello globale nel 2014 le persone impiegate nei settori delle rinnovabili erano 8,1 milioni, il 5% in più rispetto al 2013. A questi si aggiungono altre 1,3 milioni di persone impiegate nelle centrali idroelettriche di grosse dimensioni. Ma la situazione varia molto in base alle aree. “Nel 2014 per il quarto anno di fila, gli stati membri dell’Unione europea hanno assistito a un declino dell’occupazione nel settore delle rinnovabili. Come l’anno precedente, la crisi economica e le condizioni politiche avverse hanno portato a una riduzione degli investimenti. Il numero totale dei posti di lavoro è calato del 3%, a 1,17 milioni nel 2014”. Le performance migliori, invece, si osservano in Asia, dove ci sono il 60% dei lavoratori mondiali delle rinnovabili (la percentuale era al 51% nel 2013).