Perdita di produzione agricola, dello stoccaggio di carbonio, della protezione dall’erosione e dei danni provocati dalla mancata infiltrazione dell’acqua. Ma anche assenza di impollinatori e perdita di regolazione del microclima. Sono questi alcuni dei danni causati dal consumo di suolo in Italia.
Lo rivelano gli ultimi dati aggiornati dall'Ispra (Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale) e raccolti nel volume “Il consumo di suolo in Italia 2016”. “Sfiora il miliardo di euro (oltre 800 milioni) il prezzo massimo annuale che gli italiani potrebbero pagare dal 2016 in poi per fronteggiare le conseguenze del consumo di suolo degli ultimi 3 anni (2012-2015), un consumo che, sebbene viaggi oggi alla velocità più ridotta di 4 metri quadrati al secondo, continua inesorabilmente ad avanzare ricoprendo in soli due anni altri 250 chilometri quadrati di territorio, circa 35 ettari al giorno”, scrive l'Istituto in una nota.
Numeri enormi, che segnano profondamente il territorio. Il suolo perduto continua a “mangiare” laghi, fiumi, coste, aree protette. E avanza anche in zone a rischio sismico e franoso. Non solo, ma i suoli modificati allargano i loro impatti anche al di fuori dell'area interessata, fino a 100 metri di distanza. L'Ispra ha così potuto calcolare che oltre la metà del territorio nazionale, ovvero il 56 per cento, risulta ormai compromesso.
Tra le città metropolitane che registrano le perdite maggiori ci sono Milano, Roma e Venezia, rispettivamente con 45 milioni, 39 e 27. Tra le più virtuose, o comunque con perdite relativamente più basse, spiccano Trieste, Asti e Imperia.
Sì, perché il consumo di suolo significa anche perdita economica. Si perdono terreni coltivabili, capacità di contenimento delle acque superficiali, o di regolare la temperatura, in particolare nelle grandi città, dove spesso il fenomeno di isola di calore rende gli eccessi di caldo difficilmente sopportabili.
Qualche sprazzo di sereno c'è. Lo scorso maggio la Camera dei deputati ha approvato la legge contro il consumo di suolo, per portarlo a zero entro il 2050. Ciò significa che ci sarà l'obbligo di redigere una sorta di censimento di tutte quelle aree dismesse e inutilizzate, puntando, prima di costruire ex novo, su riqualificazione e rigenerazione. Una legge di cui il Paese aveva bisogno come sottolineato dal ministro Martina, anche: “per colmare un gap rispetto ad altri Paesi, tutelando la nostra agricoltura, conservando il paesaggio e stimolando l'edilizia di riuso e la rigenerazione urbana con il recupero di aree già occupate e strutture già esistenti”.