Il pollice di molti italiani si sta colorando sempre più di verde e i risultati si vedono… soprattutto sulla tavola. Una moda tutt’altro che passeggera negli ultimi anni sta infatti “invadendo” la penisola: l’ortomania. Per decenni la cura dell’orto era considerata un passatempo secondario per nulla in voga anche perché sopravviveva negli italiani il ricordo degli orti di guerra e quest’attività era ritenuta legata alla mera sopravvivenza. La diffusione dei supermercati dove era possibile trovare frutta e verdura bella a vedersi senza dover affaticarsi fece il resto.
Negli ultimi anni, però, la situazione è radicalmente cambiata.
Sono oltre 20 milioni (il 37% della popolazione) gli italiani che dedicano parte del proprio tempo libero alla cura di orti, giardini e terrazzi. Che si abbia a disposizione un giardino vero proprio, uno spazio verde messo a disposizione dal comune, un terrazzo privato o condominiale, un balcone o anche solo un piccolo spazio in casa, per molti italiani è sempre l’occasione buona per scegliere, in base alla stagione, ortaggi, frutta o erbe aromatiche da piantare in orizzontale, ma anche in verticale. Per capire la crescita del fenomeno basta analizzare le stime di Coldiretti: nel 2011, nelle città italiane, si stimava l’esistenza di 1,1 milioni di metri quadrati destinati ad orto pubblico; nel 2013 il dato era triplicato con ben 3,3 milioni di metri quadrati.
I motivi di questa passione? Un buon passatempo per rilassarsi, la certezza di sapere cosa si mangia e anche il risparmio. I benefici, però, ricollegabili a questo fenomeno vanno oltre il singolo “coltivatore urbano”: i giardini e gli orti nelle città garantiscono rifugi e oasi per uccelli ed insetti e contribuiscono a mitigare i cambiamenti climatici in città. Le piante riossigenano l’aria, assorbono l’acqua in caso di acquazzoni e, ricoprendo il cemento di terrazzi, tetti e balconi, riducono il surriscaldamento dei nostri edifici.
Ed è proprio grazie agli orti urbani che si sta riaffermando la “riconquista” dei tetti, che spesso costituiscono spazi comuni in abbandono e disuso. Un esempio si può ammirare a Milano in via Tortona nel quartiere popolare della Barona dove un gruppo di pensionate hanno deciso di coltivare 750 metri quadrati di orto tra le “nuvole”: pomodori, zucchine, insalate e la verdura fresca garantiscono alle arzille coltivatrici non solo uno svago a costo zero, ma soprattutto un risparmio di 30 euro a settimana e tanta buona verdura della quale conoscono “la storia”. Quello poi che non viene consumato dalle produttrici viene donato alle famiglie del quartiere meno fortunate.
L’orto di via Tortona è nato nel 2014 da un progetto di Michelangelo Pistoletto nell’ambito del contenitore culturale “Coltivare la Città” degli architetti Lorenza Daverio e Tiziana Monterisi, in collaborazione con l’azienda triestina Harpo, leader nei sistemi di verde pensile. Questa esperienza ha avuto così tanto successo da diventare nel 2015, anno di Expo, una “risaia”. Terminato Expo, il terreno verde è diventato un vero e proprio orto sociale affidato alla cura delle pensionate della zona che fanno riferimento al progetto Coltivare la città di Novacivitas.
“Il successo di quella che all’inizio doveva essere un’installazione, dimostra che l’orto pensile è oggi a tutti gli effetti uno strumento di socializzazione ma anche di risparmio economico – commenta il direttore della Harpo verdepensile, Maurizio Crasso – Grazie al progresso tecnologico, oggi gli orti sul tetto si realizzano con pochi centimetri di terreno, hanno una bassissima manutenzione e costi contenuti. Non solo, sono uno strumento molto efficace di risparmio energetico”.
Da via Tortona, il progetto si è quindi diffuso in altri condomini e ora sui tetti delle case popolari di proprietà dell’Aler si apprestano a crescere tanti altri orti. A curarli sarà, ovviamente, il gruppetto delle irriducibili pensionate che con successo ha fatto fiorire il Supeortopiù di via Tortona.
“Il “Progetto Barona” – spiega Tiziana Monterisi di novacivitas - vuole essere un’esperienza capace di riportare la natura nella periferia per rigenerare il territorio: l’area extracittadina diventa così la dinamo trasformatrice della società dove nascono comunità autonome in grado di relazionarsi con il vasto tessuto urbano. Natura, arte, cultura ed educazione diventano il fulcro di questo nucleo sociale, favorendo la diffusione di nuove pratiche di produzione, uso e condivisione dello spazio e del territorio”.
A questo punto attendiamo solo le ricette dei piatti a metro zero...